Una nuova finestra sul mondo

― 17 Maggio 2023

Ha raggiunto il Kenya, dove si doveva fermare solo un anno, nel 2007, e dopo 16 anni è ancora lì: Antonio Masuri, consacrato laico – nell’associazione laicale Memores Domini – lavora per la Fondazione AVSI, una ONG che realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 39 paesi, inclusa l’Italia.

In Kenya Antonio lavora con i bambini infetti ed affetti dall’AIDS, puntando sull’educazione e la formazione nei quartieri periferici di Nairobi, a Kibera, uno degli slum più grandi dell’Africa, a Dadaab, uno dei campi profughi più popolosi del pianeta e nei villaggi rurali del Paese.

I ragazzi della classe prima lo hanno incontrato dal vivo, in classe, martedì 16 maggio, dopo averlo conosciuto on line in occasione della Cena di Gala, e hanno avuto l’occasione di porre molteplici domande, sia sulla situazione del Kenya e dell’Africa in generale, sia sulla sua esperienza personale. Antonio ha raccontato del progetto “Campus Kenya”, che dà la possibilità ad alcuni giovani di raggiungerlo in Kenya, per vedere cosa significa lavorare insieme a lui sul campo: attraverso le immagini che ci ha portato, e il suo appassionato racconto, i nostri studenti hanno potuto avere un assaggio delle condizioni di vita del paese.

L’intricata situazione politica, l’instabilità, le guerre, la difficilissima convivenza tra le decine di tribù costantemente in conflitto tra loro, il rapporto con le potenze straniere – tra cui emerge l’influenza della Cina – , le conseguenze del Covid, della siccità peggiore degli ultimi quarant’anni e della guerra in Ucraina – che colpiscono pesantemente l’economia delle famiglie con l’innalzamento dei prezzi dei beni primari – sono tutti ingredienti di una situazione veramente complessa e apparentemente ingestibile.

Eppure. Eppure Antonio racconta di una esperienza di gioia, la stessa che ci mostra nei volti dei “suoi” bambini, con le divise della scuola e gli spazzolini – donati – tra le mani. Scuole che hanno è non è affatto scontato, mura, pavimenti, finestre, bagni dignitosi. Scuole che hanno docenti che si presentano in classe, non ubriachi, non violenti. Scuole “belle e buone” per i bambini kenyoti. È questa la missione di Antonio, una missione che parte dalla preoccupazione educativa dei bambini più poveri, e si allarga, mano mano – ai produttori di caffè, agli allevatori di bovini da latte, alle colture idroponiche: perché i bambini hanno bisogno di cibo sano e nutriente.

Un bene che si allarga, e che è riconosciuto, come dimostra il fatto che dentro i gravissimi episodi della guerra civile, nessuno ha infierito sulla scuola: è la loro scuola, la scuola di tutti i bambini, dove tutti sono accolti, accettati, voluti bene. E proprio questi bambini, che sopravvivono “nel nulla e col nulla” hanno qualcosa di significativo da raccontare: è un Altro che ti dà la vita ora, e non sei una persona seria se non lo riconosci. Per questo un mussulmano può domandare ad Antonio – memor domini cattolico – “perché non abbiamo ancora fatto l’albero di Natale?”, oppure “ma Antonio, sei distratto? Non hai ancora detto la preghiera stamattina!”.

E Antonio non vede l’ora – era evidente a noi che l’abbiamo sentito raccontare – di tornare in Kenya, dove lo aspettano quelle dieci scuole costruite per tutti i popoli, dove tutte le religioni vivono in pace. Scuole che – proprio come la nostra – mettono al centro la libertà di chi cresce, quella libertà che ci permette di entrare nella realtà da protagonisti: «sei tu che decidi – questa la sfida di Antonio ai nostri studenti – se fare un passo, e cambiare il mondo, oppure scaldare la sedia. E il tuo passo è molto semplice: studiare, stare alla realtà». Questo vale per noi, comodamente seduti sulle nostre belle sedie nelle nostre aule tinteggiate da poco, come per i bambini di Antonio, che vivono in case costruite di sterco di vacca essiccato, e mangiano – quelli fortunati – in mense che cucinano grazie al biogas riciclato dalle latrine, e si trovano – questo capita loro – il pozzo che fornisce l’acqua alla scuola prosciugato da un pozzo costruito appena fuori il muro di cinta. Dal comune…

Cosa sostiene, allora, la speranza? L’esperienza di una compagnia, come quella delle piccole comunità cristiane, che condividono energie e risorse, per il bene comune.

Un piccolo incontro, una grande esperienza: una sfida che sollecita la nostra libertà, senza nemmeno bisogno di alzarci dalla sedia

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