Nell’ambito della programmazione di educazione civica, gli studenti del nostro liceo hanno incontrato quest’anno Sultana Ranzon, “Una Bambina a Bergen Belsen” per la Giornata della Memoria – una attività organizzata dal Centro Asteria – e per il Giorno del Ricordo hanno assistito ad una presentazione realizzata dalle docenti di storia e filosofia Benedetta Fraccia e Cristina Sagliani.
L’intensa testimonianza della signora Ranzon, estremamente carica di dolore, ha suscitato un proficuo dialogo nelle diverse classi, da cui è emersa l’urgenza di approfondire la conoscenza non tanto per “evitare gli errori del passato”, quanto piuttosto per imparare a giudicare nel presente, imparare a non essere indifferenti al male, a quel male cui capita di essere conniventi, anche solo per inazione. Il livore emerso dalle parole della signora Razon nei confronti del popolo tedesco, per quanto comprensibile entro le circostanze terribili e disumane che la stessa ci ha testimoniato, ha provocato e suscitato alcune domande nei nostri studenti. Con questa consapevolezza le docenti Fraccia e Sagliani hanno affrontato il lavoro di preparazione dell’incontro sulle Foibe, tenendo insieme la necessità di dipanare e chiarire la complessità degli eventi, e insieme consegnare agli studenti una ipotesi di giudizio non solo sul fatto storico, ma sulla necessaria consapevolezza della personale responsabilità di fronte al male.
Il principio di ragion sufficiente, come insegna il filosofo tedesco Gottfried Leibniz, afferma che ogni evento è necessariamente generato dalle cause che l’hanno determinato. Per questo, il primo sguardo sugli eventi del passato necessariamente ha lo scopo di ricostruirli nelle loro ragioni storiche, pur intricate e ancora controverse. D’altra parte, dividere la realtà in due categorie – i «buoni» e i «cattivi», chi «agisce» e chi «reagisce» – non tiene conto della libertà individuale, della possibilità di bene sempre aperta per tutti.
Di fronte ai partigiani titini, che reagiscono all’ingiusta occupazione fascista e nazista, infoibando i “nemici”, emerge la testimonianza del vigile del fuoco, l’angelo delle Foibe, che insieme ad un manipolo di amici si è calato nelle fosse piene di cadaveri in putrefazione, non per salvare qualcuno – non c’erano più superstiti – ma al fine di restituire i resti dei defunti alla pietà delle famiglie. Di fronte all’enormità del male ricevuto e commesso, anche in quel momento storico si è spalancata la possibilità di un bene più grande, l’accadere di una carità che va oltre il calcolo della ragione. Si tratta di una testimonianza stupefacente di quanto l’agire dell’uomo non sia mai determinato dalla somma degli antecedenti vissuti, e di come dunque anche noi, nelle circostanze che quotidianamente ci troviamo a vivere, abbiamo sempre la responsabilità di agire per il bene.
La sfida è grande: viviamo in un mondo in cui l’uomo ha desiderio di dominare la realtà, in un certo senso di produrla lui stesso, per poterla meglio controllare. Tutto ciò che avviene viene messo ai margini, per far spazio a ciò che è prodotto. È un’esperienza che accade a ciascuno, a partire dallo sguardo riservato al vicino di banco, ai docenti, ai genitori. Dove trovare una possibilità di speranza? Ci viene in soccorso il filosofo francese Alain Finkielkraut, che afferma la categoria dell’avvenimento: «se è vero che la realtà ci viene incontro con gratuità, l’ultima parola di fronte alla vicenda umana può essere solo… gratitudine»