È davvero importante aiutarci, oggi più che mai, nel significativo compito di accompagnare i nostri studenti ad un giudizio lucido su una quotidianità che urge, fatta di parole che avremmo voluto utilizzare solo nelle lezioni di storia, e invece riguardano i nostri giorni: guerra, armi, sanzioni, negoziati.
È stato possibile farlo, grazie alla disponibilità dell’amico ed europarlamentare Massimiliano Salini, che collegato da Bruxelles ci ha regalato un’ora del suo tempo, fornendoci una sintesi chiara e insieme approfondita della situazione in atto e rispondendo alle domande degli studenti.
Domande che sono arrivate subito: concrete, documentate, segno che non c’è torpore, non c’è indifferenza nei nostri ragazzi, ma desiderio di sapere, di comprendere, di andare a fondo dei fatti per poter iniziare a rischiare un giudizio. Cosa accadrà se Putin dovesse conquistare Kiev? Ci sono responsabilità del mondo occidentale, e in particolare degli USA, nella situazione attuale? Come è possibile deliberare sanzioni che andranno a colpire il popolo russo, non certo responsabile in prima persona dell’aggressione? Come affronteremo la nostra dipendenza dalle materie prime che finora abbiamo acquistato da Russia e Ucraina? C’è veramente la possibilità che si arrivi all’uso delle armi nucleari? E come giudicare l’attacco hacker sferrato da Anonymous?
A tutti questi interrogativi è giunta una risposta netta, scevra dal tentativo di edulcorare la realtà, ma con una sincerità e una nettezza che domandano a ciascuno una responsabilità davvero personale. Il dialogo, infatti, è alimentato dalla vita quotidiana, non dalla teoria sul dialogo, e questo vale a livello di rapporti internazionali, tanto quanto nelle relazioni personali: è la vita, quella “normale”, il criterio che permette di “fare bene” politica, un “fare bene” di cui abbiamo potuto veramente fare esperienza. Così, paragonando le responsabilità dei grandi capi di stato alla consapevolezza con cui un padre si muove nella realtà, sapendo che il suo agire è di fronte al figlio che da lui impara un metodo e un criterio, Salini ha parlato a ciascuno di noi, consegnandoci un compito che è anzitutto di curiosità – applicata ad un reale lavoro di studio e approfondimento – ma che ancora più profondamente riguarda il concetto stesso di “pace”.
La pace non è inazione, non è star seduti sul divano a far nulla, la pace è un modo serio di compiere attività e fatica; ancora di più, la pace ha a che fare con la disponibilità a rinunciare ad un pezzo di potere, un luogo in cui la forza tace e a parlare restano solo ragioni volte al bene, il bene dei popoli e il bene dei singoli. Ecco una ipotesi nuova da cui partire, guardando alla Russia, all’Ucraina e anche al vicino di banco: come ci testimonia la nostra tradizione cristiana, che storicamente ha generato l’unità dei popoli europei, la pace ha a che fare col perdono.
Solo così il giudizio si trasforma in azione: per questo la nostra scuola è pronta a spalancare le porte, e le braccia, desiderosa di accogliere ragazzi in fuga dalla guerra.



